COVID-19 e tracciamento dei contatti in Italia: quali aree di miglioramento?

Giulio

Giulio

Il contact tracing è un processo fondamentale nella gestione delle malattie infettive: è essenziale ricostruire i contatti di un caso confermato positivo per poterli testare ed isolare, limitando sul nascere una catena di diffusione che rischia, estendendosi, di diventare difficilmente monitorabile. Per fare fronte alla pandemia di COVID-19, molti Paesi hanno deciso di supportare il proprio sistema di tracciamento integrandolo con strumenti digitali come app dedicate che possano registrare in automatico i contatti a rischio ed alleggerire quindi, su larga scala, la fase di notifica.

A giugno 2020, in Italia è stata lanciata l’app di tracciamento Immuni, basata sul protocollo di Exposure Notification sviluppato da Google ed Apple (GAEN) fondato sulla tecnologia Bluetooth Low Energy. A distanza di nove mesi dal rilascio, Immuni conta poco più di 10,2 milioni di download e poco più di 10500 utenti positivi che hanno caricato le proprie chiavi (fonte: Ministero della Salute, 5 febbraio 2021). Solo osservando questi numeri e confrontandoli con quelli riportati nei bollettini quotidiani emessi da Protezione Civile e Ministero della Salute risulta evidente che l’introduzione dell’app non abbia apportato il contributo sperato al sistema di tracciamento dei contatti italiani, che fa principalmente affidamento sulle aziende sanitarie locali. Sono diversi i fattori che hanno un ruolo in questa situazione e che hanno generato un circolo vizioso in cui scarsa adesione e mancata efficienza si alimentano a vicenda.

Problematiche

In primo luogo, è necessario evidenziare le sensazioni che hanno accompagnato l’entrata nelle case degli italiani della notizia di un’app di tracciamento. Di questa misura si è iniziato a parlare a marzo, nel pieno della prima ondata, e prevedibilmente si sono da subito diffuse fake news e teorie del complotto che hanno cavalcato le discussioni in fatto di privacy e tutela dell’anonimità dei dati. In assenza di una comunicazione chiara da parte del Governo indirizzata ai meno tecnici sull’utilità e sul possibile funzionamento di questo strumento digitale, si è lasciato molto spazio a timori e alla libera interpretazione. Una volta lanciata l’app, l’estate non ha visto una campagna di sensibilizzazione intensa e tempestiva che potesse garantire un numero di download più importante per arrivare preparati alla seconda ondata.

A settembre ancora permanevano dubbi sul funzionamento di Immuni, su come possa in teoria facilitare l’esperienza del cittadino e su che cosa accada dopo la ricezione della notifica. A volte, alcune domande non hanno trovato risposta neanche nell’interazione con le ASL: sono stati riportati casi in cui gli operatori sanitari non erano preparati a supportare i cittadini nella segnalazione della propria positività tramite l’app.

Come sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel documento sugli strumenti digitali per il contact tracing per il COVID-19, l’app può essere efficace solo se integrata in un sistema di sanità pubblica efficiente ed interconnesso. Proprio nella fase più importante per gestire la seconda ondata, è mancato un coordinamento strategico tra Governo e regioni sulla diffusione delle linee guida per l’attivazione di Immuni, per l’interpretazione della notifica da parte di ASL e medici di base e per la definizione della durata della quarantena. Esemplare è il caso della regione Veneto, che in disaccordo sulla definizione di “contatto stretto” di Immuni, fino a metà ottobre non ha contribuito al caricamento dei codici dei positivi dotati dell’app. Il DPCM del 18 ottobre ha stabilito per gli operatori delle ASL l’obbligo di inserire le chiavi dei positivi nel sistema centrale di Immuni, ma per molti è rimasta viva la confusione sulla necessità di ricavare del tempo per mettere in atto questa procedura, nel pieno del sovraccarico dato dalla rapida e totalizzante risalita di contagi e di richieste di tamponi. Inoltre, sarebbe utile uniformare i sistemi informatici pubblici rendendoli comunicanti tra loro, al fine di semplificare la condivisione di dati fondamentali per politiche pubbliche efficaci su scala nazionale.
Infatti, una buona integrazione dell’app con le modalità di tracciamento tradizionali (che invece richiedono risorse di personale e di tempo ingenti) deve prevedere anche una gestione efficiente dell’iter seguente la notifica, situazione che passa attraverso un sistema di testing snello. Gli ingorghi e le tempistiche che intercorrono tra richiesta dei tamponi e ricezione dell’esito rallentano le notifiche di esposizione e potenzialmente ne penalizzano l’efficacia.

Aspetti tecnici

A parte situazioni di incompatibilità per determinati smartphone e alcuni bug relativi ai controlli esposizione e alle notifiche segnalati da degli utenti e poi corretti prontamente con aggiornamenti dell’app, sembra che Immuni sia stata progettata in maniera eccellente. La conferma arriva dai tanti esperti che hanno analizzato il codice sorgente condiviso su GitHub e che hanno eseguito test mirati che assicurano che l’app rispetti i livelli annunciati di tutela della privacy degli utenti. Inoltre, la classifica del MIT Technology Review delle app di contact tracing di tutto il mondo basata su cinque requisiti di sicurezza (“Voluntary”, “Limited”, “Data destruction”, “Minimized”, “Transparent”) assegna ad Immuni il massimo dei voti.
Contrariamente a quanto alcuni ancora credono, Immuni non accede a informazioni personali o sensibili, e l’approccio decentrato e anonimo è tale che dal punto di vista del monitoraggio epidemiologico l’apporto qualitativo di Immuni sia potenzialmente limitato. Non ricorrendo infatti ad alcun mezzo di geolocalizzazione, non è possibile raccogliere informazioni sugli spostamenti delle persone e analizzare dunque flussi, luoghi e orari di assembramento. Risulta quindi impossibile sfruttare l’app per programmare misure localizzate di contenimento dell’epidemia.

Alcuni Paesi, temprati dall’esperienza delle epidemie di Mers e Sars, hanno adottato strategie di ricerca dei contatti più invasive, che insieme a misure di prevenzione, test a tappeto, produzione e distribuzione di dispositivi di protezione individuale e chiusure dei confini hanno permesso di isolare cluster e mantenere il controllo sulla diffusione del virus.

In Corea del Sud, ad esempio, sono stati incrociati dati di geolocalizzazione degli utenti con informazioni estratte da database governativi, filmati di videosorveglianza, transazioni delle carte di credito. La possibilità di osservare su una mappa gli individui positivi e di visualizzare dati come età, genere o spostamenti precedenti alla quarantena è utile e deterrente quanto pericolosa poiché espone a dinamiche di identificazione e discriminazione.

Un caso spesso menzionato è anche quello di Taiwan, che è riuscito a contenere in maniera ottimale i contagi garantendo un impatto limitato sulle attività e sulla vita dei cittadini. Oltre a misure stringenti di prevenzione della diffusione e di comunicazione chiara e non contraddittoria, l’isola ha fatto ricorso a dati delle celle telefoniche e controlli quotidiani tramite app (con intervento della polizia in mancanza di risposta) per monitorare localizzazione e sintomi dei soggetti in quarantena. Ciò che ha convinto i cittadini di questi Paesi a seguire disposizioni così stringenti è l’idea che di fronte all’emergenza, cedere parte della propria privacy sia un sacrificio dovuto per il bene della collettività.
Non è del tutto plausibile operare un confronto con società con questo genere di esperienze in quanto esse fanno riferimento a configurazioni e scenari sociali ed istituzionali completamente diversi dai modelli occidentali. Tuttavia, la capacità organizzativa e di tracciamento dei contatti dimostrata da Corea e Taiwan deve interrogarci seriamente sugli ampi margini di miglioramento nella gestione della crisi da parte del Governo Italiano.

Nei paesi occidentali di tradizione liberale e democratica — come è l’Italia, così come tanti altri paesi europei — le istituzioni hanno deciso di bilanciare la necessità di strumenti di tracciamento con il pilastro fondamentale del rispetto della libertà individuale e della riservatezza personale. Vista dunque la tipologia di dati raccolti, potenzialmente poco utili in mancanza di adesione da parte dei cittadini, l’efficacia di questo metodo sarebbe molto dipesa dall’accettazione sociale e dalla predisposizione da parte degli italiani ad adottare la soluzione proposta. Ciononostante, questo compromesso a garanzia della privacy non è stato abbastanza da abbattere la diffidenza di tanti che hanno deciso di non scaricare e utilizzare Immuni. Paradossalmente, c’è maggiore predisposizione a regalare sistematicamente i propri dati identificativi e personali ai social network (a inizio 2020 si attestavano 35 milioni di italiani che ne fanno uso), correndo rischi ben più concreti e intricati da definire.


Se si chiede a qualcuno come mai non abbia scaricato Immuni, la risposta verte su due convinzioni (che purtroppo sono state ampiamente alimentate nell’opinione pubblica anche da alcuni leader politici per mera ricerca di consenso a fronte invece della gravità dell’emergenza):
1) l’idea che l’app violi la privacy
2) l’idea che l’app sia inutile.


Su entrambi i punti si può e si deve lavorare, sia per facilitare il superamento della seconda ondata e scongiurarne una terza, sia per costruire un modello italiano coeso ed efficace per fronteggiare possibili emergenze sanitarie future.

Proposte

1. “Incentivare” a scaricare l’app

È necessario determinare un aumento notevole del numero di download dell’app: ciò sarà possibile grazie a una comunicazione chiara e univoca da parte del Governo connotata in senso positivo, che cioè consenta di percepire l’app come uno strumento utile che accompagni i cittadini in una situazione di emergenza, e non come qualcosa di imposto dall’alto e per di più inutile. L’esperienza dell’operazione cashback tramite l’app IO, con record di download (quasi 10 milioni da dicembre 2020) nonostante la necessità di accesso con dati personali, ci dimostra che diffondere un’app pubblica tra la popolazione non è un’impresa impossibile. Probabilmente correlare l’eligibilità al sistema di cashback anche all’adozione dell’app Immuni sarebbe stata una valida opportunità per incrementare l’adesione al contact tracing digitale.

2. Identificare i luoghi a maggiore tasso di contagio

Dal punto di vista tecnico, sembra che qualche strategia per rispondere all’esigenza epidemiologica di caratterizzare le modalità di entrata in contatto con un soggetto positivo e identificare i luoghi a maggiore tasso di contagi e di assembramenti sia possibile implementando quanto già esistente, senza ricorrere a GPS e a situazioni di vulnerabilità della privacy. Un esempio da seguire potrebbe essere la strategia britannica di esporre un codice QR all’ingresso dei luoghi dove sono prevedibili fenomeni di aggregazione (scuole, ristoranti, centri sportivi, biblioteche, negozi, …) e la possibilità di scansionarlo con l’app prima di accedere alla struttura.

3. Istituire accordi con le App di uso comune

Facebook, Whatsapp, Google Maps, Chi non ha sul proprio smartphone almeno qualcuna di queste app? Si potrebbe pensare a istituire accordi quadro con queste app per notificare e ricordare con frequenza agli utenti di scaricare e utilizzare Immuni.

4. Linee guida uguali per tutti e un call center funzionante

In tale direzione è stato recentemente istituito un call center di Immuni a supporto di chi riceve una notifica di esposizione e di chi viene testato positivo. Non sono ancora chiari tutti i dettagli sull’assistenza specifica che potrà fornire questo servizio (ad esempio se potrà dialogare anche con i cittadini positivi in isolamento per un aggiornamento sul decorso della malattia), ma si spera che possa contribuire ad alleggerire il carico di lavoro delle ASL. È necessario rilanciare un piano d’azione complessivo che, oltre agli aspetti tecnici e gestionali, preveda una nuova campagna di comunicazione che coinvolga gli ambiti sia pubblici sia privati, e un sistema continuo di verifica dell’efficacia delle strategie scelte.

Emily Turilli
Giulio del Balzo

Si ringrazia per il contributo: Marco Faccin

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Blasimme A., Vayena E. — What’s Next for COVID-19 Apps? Governance and Foresight — Nov 2020, Science: 760–762

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